
Il 13 maggio 1978 segna un momento importante nella storia della psichiatria italiana. Quello fu il giorno in cui il parlamento approvò la legge n.180, la cosiddetta Legge Basaglia – dal nome dello psichiatra veneziano Franco Basaglia, medico illuminato e fondatore del movimento di Psichiatria Democratica – che impose la chiusura dei manicomi e istituì il Servizio Sanitario Nazionale, riformando in modo radicale l’assistenza psichiatrica delle persone affette da disturbo mentale.
Banditi inferriate e lucchetti, il provvedimento intendeva offrire ai malati un percorso di cura più umano e corretto, che potesse contrastare l’emarginazione e lo stigma legato alle malattie mentali, in funzione del loro reintegramento sociale. Una vera e propria svolta, una conquista di civiltà che, con non poco clamore, restituì dignità e valore ai malati con disturbi psichici. Basaglia lo esplicitò bene in una sua dichiarazione:
«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione».
Proprio il tema delle malattie mentali e della loro cura è al centro delle opere dello scrittore toscano Mario Tobino, medico specializzato in neurologia e psichiatria, che per molti anni fu primario all’ospedale psichiatrico di Maggiano, presso Lucca, dedicandosi all’attività letteraria nel poco tempo libero concessogli dalla professione. Egli esordì nel 1934 pubblicando una raccolta di poesie, che ottenne il plauso della critica, proseguendo poi con la prosa: Il figlio del farmacista (1942), Il deserto della Libia (1951), Le libere donne di Magliano (1953). Nel 1962 vinse il Premio Strega con il romanzo Il clandestino, in cui narrò gli anni della resistenza partigiana in un immaginario paesino della Versilia. Dieci anni dopo, invece, conquistò il Premio Campiello con l’altro romanzo Per le antiche scale, considerato il suo capolavoro.

Le scale a cui fa riferimento il titolo sono quelle di un ospedale psichiatrico situato nella campagna lucchese: un vecchio castello fatto di “anditi, ombre medievali, spesse mura”, che nei secoli ha ospitato prima un convento di frati, poi un manicomio. Nella nota conclusiva al libro, Tobino ci tiene a specificare che i fatti e i luoghi narrati sono frutto della sua immaginazione, e non corrispondono a eventi o persone realmente incontrate nel corso della sua attività professionale: “In questo libro, se un colpevole c’è, è la fantasia, ammettendo che abbia avuto le ali”.
Il libro si apre con un primo, lungo racconto intitolato Dentro la cerchia delle mura, in cui il giovane dottor Anselmo, membro del manicomio sopracitato, grazie alle chiacchiere di inservienti e colleghi ricostruisce la storia del famoso dottor Bonnacorsi, un primario che aveva lavorato nello stesso Istituto e che “aveva guidato, dominato gli anni precedenti. Nell’ospedale si muoveva la sua leggenda”. A questo primo racconto ne seguono altri diciannove, più brevi e incentrati ognuno sul ritratto di uno o più “ospiti” del manicomio. Il dottor Anselmo – alter ego di Tobino? Sembra plausibile – funge da legante per l’intera raccolta, in un periodo di tempo che va dagli anni Trenta ai Settanta del secolo scorso.
A quel tempo la follia non era ovattata, dissimulata, intontita, mascherata, camuffata come oggi con gli psicofarmaci. La follia esplodeva uguale a un vulcano. Nei cameroni — nudi o malamente coperti da una camicia sdrucita — urlavano i matti, in parte legati con le cinghie ai braccioli del letto. Le risse tra loro frequenti, le aggressioni agli infermieri giornaliere. Le pareti squallide, color dell’osso morto; i tavoli inchiodati al pavimento; le finestre con le sbarre, le porte chiuse a tre mandate. Nel silenzio della notte arrivavano i lamenti, le sorde imprecazioni, i suoni di bestiale disperazione […] Tutto era carcere.
L’autore cerca di descrivere non solo la patologia, il disturbo da cui sono affetti i pazienti dell’Istituto, ma di coglierne anche il lato umano, attraverso le loro storie e i loro volti. Ecco allora che la “depressione agitata” del Bedetti trova ristoro nelle partite a briscola, e che i discorsi sconclusionati del Meschi, malato schizofrenico, si ricompongono quando soffia nell’argentato sassofono, “strumento dalla voce umana”.
E poi c’è Idelfonso, arrestato dai carabinieri perché in osteria alzava per aria gli amici sopra i tavoli, tra le risate di tutti; il Federale, ex funzionario fascista, internato perché nel bel mezzo di un convegno osò affermare che “il Duce non c’è, non esiste, non c’è mai stato”; Suor Fulgenzia, dominata dall’impulso irresistibile alla bestemmia; la Crisafulla, che sputa in viso per dimostrare affetto, e la Guelfi, una vita passata in manicomio e nessun parente, che quando muore nessuno può pagarle la sepoltura e il suo corpo viene donato all’Università.
Lo sguardo del dottor Anselmo corre per ogni reparto – “i Cronici”, “le Agitate”, “il Reparto Chiuso” – analizzando e sondando ogni paziente, nel tentativo, folle anch’esso, di scoprire la verità, l’origine della loro condizione. Egli è un moderno Virgilio che ci scorta negli inferi, mostrandoci la follia umana nelle sue mille declinazioni. Il valore sociale di un simile sforzo è impagabile, poiché riduce la distanza tra chi vive la malattia e chi ne osserva l’estrinsecazione, tra i malati e la collettività.
La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di una trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura.
Nel 1975 il regista toscano Mauro Bolognini si ispirò a questo libro per la realizzazione di un film, con Marcello Mastroianni nel ruolo del dottor Bonaccorsi e la colonna sonora di Ennio Morricone. Il regista aveva già portato sul grande schermo altri celebri romanzi di autori italiani – Il bell’Antonio di Brancati (1960), Senilità di Svevo (1962), Agostino di Moravia (1962) e Metello di Pratolini (1970): per quest’ulteriore trasposizione, egli si concentrò principalmente sul primo racconto Dentro la cerchia delle mura, attingendo dai capitoli successivi alcuni personaggi e avvenimenti.
Mario Tobino, Per le antiche scale. Una storia, Arnoldo Mondadori Editore, 248 p.