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FAUSTA CIALENTE, Ballata levantina

    Nell’albo delle grandi scrittrici italiane del Novecento, accanto ai nomi illustri di Elsa Morante, Grazia Deledda, Natalia Ginzburg – per citarne soltanto tre, ma la lista è più lunga di quanto si possa immaginare, in un mondo iniquamente dominato da figure maschili –, un posto d’onore spetta di certo a Fausta Cialente. Molti di voi probabilmente non la conoscono, ennesima vittima dell’industria del libro, che pubblica solo chi è in vita o chi ancora “vende”; io stesso l’ho scoperta tardi, casualmente, ritrovando la vecchia edizione di un suo romanzo sullo scaffale di una libreria dell’usato. Mai ritrovamento fu più prezioso.

    Figlia di un ufficiale del Regio Esercito e di una nobildonna triestina, la Cialente (1898–1994) fu giornalista, traduttrice e scrittrice. Nomade per necessità e «straniera dappertutto» – la famiglia seguì il padre per mezza Italia, nei vari spostamenti legati al suo servizio –, nei primi anni Venti sposò Enrico Terni, un ricco banchiere ebreo di origini italiane, e insieme a lui si trasferì in Egitto, dove soggiornarono a fasi alterne per oltre vent’anni. Durante il conflitto mondiale, partecipò attivamente alla lotta antifascista, trasmettendo da Radio Cairo messaggi di ribellione e pace. Nonostante gli inizi precoci, si affermò tardi sulla scena letteraria italiana, complici la censura fascista e una serie di imprevidenti rifiuti editoriali. Dopo cinque romanzi e svariati racconti, nel 1976, all’età di settantotto anni, vinse il Premio Strega con Le quattro ragazze Wieselberger, forse la sua opera più celebre: un romanzo autobiografico sugli anni della sua infanzia triestina.

    Fausta Cialente ritratta da Renata Asquer.

    L’esperienza egiziana, in particolare la frequentazione degli ambienti dell’alta società mediorientale, fu fonte d’ispirazione per alcuni tra i suoi scritti più riusciti: Cortile a Cleopatra, Il vento sulla sabbia e, of course, Ballata levantina. Questo fu il terzo romanzo dell’autrice e il primo scritto dopo la guerra, pubblicato da Feltrinelli nell’aprile del 1961, nella Biblioteca di letteratura diretta da Giorgio Bassani. A metà tra fiaba orientale e romanzo storico, con chiari riferimenti autobiografici, è incentrato sulla figura di Daniela, un’orfana di emigrati italiani che vive con la nonna in una sontuosa villa ad Alessandria d’Egitto. Il libro copre un arco temporale di quasi sessant’anni, proiettandoci tra i fasti e le miserie dell’Egitto coloniale, e segue l’educazione sentimentale di questa ragazza “che sembrava un gelsomino”, dai primi amori ai tormenti dell’età adulta.

    Fino a quando il mio vivere non ebbe altro contorno che le figure della nonna, dei servi, dei vecchi amici astuti e deferenti, fu un vivere lieto e carezzevole, simile a una lunga passeggiata su un’acqua primaverile. E tuttavia già allora, nel profondo, avvertivo le correnti contrarie, la minaccia della tempesta che sotto, come un immenso bozzolo, veniva avvolgendo il suo filo. Origliavo agli usci, spiavo movimenti e parole: lentamente, nonostante tutto, entravo nella realtà.

    La storia è suddivisa in cinque capitoli, ognuno identificato con il nome di un personaggio: La nonna, Matteo, Angèle, Daniela, Livia. Le figure che animano la scena sono molte, e sono soprattutto le donne ad emergere: la nonna Francesca, un’ex ballerina che “muoveva su tacchi alti e sottili ancora da vecchia, palpitante fino all’ultimo di tulle e merletti”, scendendo le scale della sua villa come se stesse facendo una grande entrata sul palcoscenico. E poi Livia, moglie zelante di Matteo, dedita a una vita semplice tra orto e cucina, e Cosima, la cognata, il cui unico cruccio è quello di non essere ancora riuscita a formalizzare la sua unione con un matrimonio. Le figure secondarie aggiungono colore a un quadro già di per sé bellissimo: la schiava nubiana Soàd, fedele e orgogliosa di servire la donna che l’ha resa libera; l’altezzosa Angèle, schiaffeggiata in pubblico per aver oltraggiato la dignità di Daniela; e ancora la “rospaccia” Clio, la furba Lalage, e Madame Léontine, maîtresse a riposo.

    Ballata levantina ha il ritmo ipnotico di una canzone araba, dove all’intensità dei grandi drammi si alternano pause e silenzi in cui si ode solo il rumore del mare. La scrittura è agile e leggera, disarmante nella sua semplicità; sorvola le vicende con il vento del deserto. Moltissimi i riferimenti storici al fascismo e alla guerra, a partire dall’episodio in cui Daniela, ancora bambina, vede davanti al Duomo di Milano “la partenza di quello sparuto gruppo di marmaglia in camicia nera, pugnale al fianco e nappe ballonzolanti”, che il 28 ottobre 1922 mette in scena la marcia su Roma. Gli ultimi capitoli ripercorrono l’offensiva degli eserciti stranieri in Egitto, con gli italiani e i tedeschi arrancanti nel deserto e le truppe inglesi a difendere Il Cairo.

    Il finale, devo ammetterlo, non mi ha soddisfatto. Senza svelare nulla, dirò soltanto che la storia di Daniela si conclude in modo inaspettato e quasi sbrigativo, lasciando in gran parte alle voci degli altri l’onere di raccontarla. Tutta la forza e l’ardore della ragazza si spengono in un gesto incoerente e oscuro, per me inspiegabile. L’intento era forse quello di rappresentare le atrocità della guerra attraverso i sentimenti di un’anima pura, vulnerabile, come quella di Daniela; il risultato non mi ha del tutto convinto.

    […] la vanità, la perfidia, la libidine, l’eterna inconseguenza e comicità degli uomini sullo sfondo minaccioso di un paese umiliato. Dovevo assuefarmi alla vita, mi dicevo, non lasciarmi stringere nei lacci di tutte quelle repulsioni, e il garofano, caduto sul davanzale bagnato di pioggia, odorava delicatamente, quasi volesse compatire la mia turbata innocenza. Ma per quanto tempo ancora, innocente?

    Fausta Cialente, dunque, una scrittrice dimenticata, non più in auge. Proprio quest’anno, però, la casa editrice Nottetempo ha curato la ristampa di un altro suo romanzo, Un inverno freddissimo del 1966, inaugurando un progetto di riscoperta dell’autrice che, nelle intenzioni, abbraccerà anche altre sue opere. La Tartaruga, invece, sotto la direzione di Claudia Durastanti, la scorsa primavera ha ripubblicato Cortile a Cleopatra del 1931. Piccoli passi che fanno ben sperare.


    Fausta Cialente, Ballata levantina, Feltrinelli, 398 p.

    Per chi volesse conoscere la storia della scrittrice, consiglio la lettura di

    • Fausta Cialente. La triplice anima di Renata Asquer, Interlinea Edizioni, 2000
    • Radio Cairo. L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto, di Maria Serena Palieri, Donzelli Editore, 2018
    • La scrittura necessaria. Il diario di guerra di Fausta Cialente di Emanuela Carbé, Artemide Edizioni, 2021

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