
“Questa creatura sfortunata saprà certamente ricambiare l’amore che le dimostrerete. Il suo nome è Matilde Sofiri”.
Una bellissima bambina, bionda e ancora in fasce, viene abbandonata dalla madre naturale e affidata alle cure delle suore di un convento di Lucca: il suo nome è Matilde. Siamo in pieno Ottocento, epoca di rivoluzioni e guerre, ma anche di povertà e grandi speranze di riscatto. Due contadini anziani e con i figli già grandi, Jacopo e la moglie Maria, decidono di prenderla con sé, accogliendola nella loro umile casa nel piccolo borgo di Pedona, vicino a Camaiore, per crescerla e donarle tutto l’amore che le è stato negato. La serenità della nuova famiglia sarà però turbata da un incontro non del tutto casuale e da un intrigo ben congegnato, in un susseguirsi di fatti e piccole cronache agresti che si attorcigliano lungo due secoli e tre diverse generazioni.
Storia di Matilde è un libro che parla della bellezza della Versilia e del cuore genuino e grande della sua gente. L’autore, Giovanni Mariotti – nato a Pietrasanta ottantacinque anni fa, profondamente legato alla sua terra e allo spirito puro di quei luoghi – lo pubblicò per la prima volta nel 1993 con il titolo Matilde per la casa editrice Anabasi – che fu fondata negli anni Novanta dal figlio adottivo Sandro D’Alessandro ed ebbe purtroppo vita breve. Il libro venne poi ripubblicato dieci anni dopo da Adelphi nella versione attuale, riveduta e ampliata. Pietro Citati, che ne ha scritto una mirabile nota critica, l’ha definito «il più bel romanzo scritto in Italia negli ultimi vent’anni».
La vicenda centrale, riguardante la sorte di Matilde e dei genitori affidatari, si intreccia quindi con una miriade di altre storie secondarie, di personaggi discendenti o coevi. Il valore più alto di questo libro sta proprio nella descrizione di scene di vita domestica e momenti assolutamente autentici, straordinari nella loro semplicità – la madre che canta le operette francesi davanti al camino, Jacopo che recita i versi della Gerusalemme Liberata davanti a un gruppo di aristocratici annoiati in villeggiatura. Alcuni oggetti ricorrenti creano, inoltre, una forte connessione temporale e sentimentale – come il prezioso orologio Huit Jours, dono del pittore Coli e tramandato di padre in figlio, o il volo pigro della poiana, “la cui ombra rade silenziosamente siepi di bosso e vigne e campi appena segati”, che tutto vede e nulla giudica.
Ma ciò che rende davvero singolare questo romanzo – e che salta agli occhi non appena si inizia a leggerlo – è la sua costruzione: la storia raccontata da Mariotti corre lungo più di duecento pagine interamente scritte senza l’uso della punteggiatura. Non una virgola, non un punto a scandire la lettura. Un flusso ininterrotto di parole e frasi, in cui gli episodi si sovrappongono l’uno all’altro, lasciando davvero senza fiato. Di seguito un breve stralcio di questo travolgente fiume in piena:
[…] nella cucina rimasta vuota il gatto balza con eleganza e morbidezza sulla seggiola più vicina al fuoco e là facendo le fusa e socchiudendo gli occhi si acciambella nella sua pelliccia crepitante di elettricità e increspata da brividi di sogni gatteschi davanti a braci che si consumano lentamente e a tizzoni già in parte ricoperti di una bianca cipria di cenere da cui con un crepitio leggero e un’ultima favilla sprizza verso l’alto illuminando con la sua breve traiettoria una tranquilla assemblea di seggiole di paglia scompagnate che sembrano rimaste lì per commemorare coloro a cui sino a poco prima rendevano servizio e si spegne e ricade giù tra gli alari dove si mescolerà all’altra cenere senza aver potuto raggiungere la gola del camino in cui nel frattempo la tramontana lestamente si è imbucata traendone un impasto sonoro che fa pensare a un amalgama di richiami strazianti di animali e gemiti scaturiti da tronchi vecchissimi e nodosi e ruggiti in fondo a grotte dalle segrete circonvoluzioni e sorde querimonie nelle rettilinee profondità dei pozzi e lunghi sibili di canne e di filari dai rumori di sistro a cui si aggiunge nei tuoi ricordi la voce ancora giovane di tua madre in bilico sulla cresta di mareggiate sonore che a tratti sembrano sommergerla e travolgerla […]
Il libro ricorda molto, in questo, gli esperimenti letterari di Georges Perec – ad esempio il suo romanzo La scomparsa, scritto senza l’uso della vocale “e” – e lo stream of consciousness di James Joyce, soprattutto Finnegans wake, che si svolge in una dimensione onirica e manca anch’esso della punteggiatura. Anche se il risultato è certamente di alto livello, non sono riuscito a cogliere fino in fondo il motivo di una scelta così azzardata. Il testo è ricco, denso, fin troppo compatto; gli episodi si susseguono ad un ritmo soffocante, che abolisce le pause e costringe a una lettura che non si può liberamente sospendere. Al di là di questo, resta il fatto che le immagini ricreate dall’autore tra un episodio e l’altro sono di una poesia sorprendente, davvero emozionanti.
[…] accade spesso che i temporali facciano finta di voler migrare altrove ma poi tornino sui loro passi come se per distrazione avessero dimenticato qualcosa o come corteggiatori irresoluti che temano di non essersi dichiarati con la dovuta veemenza e ripetano più e più volte queste manovre allontanandosi infine in mezzo ai mille brontolii e borbottii di chi pur partendo fieramente minacci di tornare […]
L’impressione che ne ho tratto è quella di una storia semplice e bellissima raccontata nel modo più complicato che si potesse realizzare. Ma non è forse questo il capolavoro di un genio, che potrà essere compreso e osannato solo negli anni a venire, come del resto è successo a molti dei suoi predecessori? A voi il giudizio finale.
Giovanni Mariotti, Storia di Matilde, Adelphi, 228 p.