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TOP 5 AMORI LETTERARI, storie d’amore tra scrittori

    Cinque storie d’amore tra scrittori, sodalizi fecondi che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo. Vite che si intrecciano e diventano immortali, perché l’amore diventa la fonte più pura di ispirazione per l’attività letteraria.
    Cinque libri che catturano questi scrittori nella loro intimità, svelando i segreti delle loro unioni, le gelosie e i retroscena più affascinanti.
    Cinque biografie scritte da chi, questi amori, li ha visti, vissuti o semplicemente raccontati.

    1. AXEL MADSEN, Una vita in comune

    Siamo sempre stati pronti a criticare, a correggere o approvare i nostri pensieri, tanto da poter dire di pensare in comune […] Molto spesso uno di noi comincia una frase e l’altro la termina; se qualcuno ci fa una domanda, è ormai risaputo che diamo le stesse risposte.

    Lo stimolo di una parola, di una sensazione, di un’ombra, ci fa viaggiare sullo stesso ideale sentiero e arriviamo contemporaneamente a una conclusione, un ricordo, un’associazione d’idee completamente inspiegabile per gli altri.

    La forza delle cose, Simone de Beauvoir

    La prima coppia di cui voglio parlarvi non ha bisogno di grandi presentazioni. La loro relazione, contraria a ogni convenzione e schema, è stata una delle più discusse e ammirate dello scorso secolo; il loro sodalizio, più che prolifico, ha rivoluzionato il panorama filosofico e letterario di metà Novecento, segnando un’epoca: Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. 

    Sartre e il castor, come lui amava chiamarla, si conobbero a Parigi nel 1929, quando entrambi erano studenti di filosofia alla Sorbona, presentati dall’amico comune René Maheu: lei era una ragazza bellissima, carismatica e con la pelle bianca come il latte; lui bruttino, basso e con gli occhiali spessi per lo strabismo. All’apparenza male assortiti, ad accomunarli erano la passione per le discipline umanistiche e il forte spirito rivoluzionario, in aperta contestazione contro l’imperante moralismo e conservatorismo borghese dell’epoca: “avevano tanto di che discorrere: gli amici, i libri, la vita e, ovviamente, il loro futuro”. Dal loro primo incontro, non si lasciarono più. 

    In questo libro-intervista, Axel Madsen, giornalista danese trapiantato in America, biografo di alcune tra le più importanti personalità del ventesimo secolo — per citarne alcuni: Billy Wilder, Greta Garbo, Coco Chanel, Yves Saint-Laurent, Jacques Cousteau, André Malraux — racconta la vita di questa iconica coppia basandosi sui ricordi dei diretti protagonisti. Nella seconda metà degli anni Settantainfatti, egli ebbe modo di intervistarli a lungo e in più sedute: analizzò le loro opere e i loro diari, ascoltò le loro confessioni più intime e i racconti dei lunghi viaggi e degli eventi più significativi delle loro esistenze, raccogliendo i segreti di un rapporto così forte e longevo. 

    Un punto focale della loro relazione, che colpisce ancora oggi per l’assoluta modernità, è una promessa che concordarono fin dall’inizio e che li legava in maniera indissolubile: il dovere dell’infedeltà. Sartre e Beauvoir non rinunciarono mai alla propria indipendenza, sia materiale che sentimentale: non si sposarono e non vissero mai insieme, rifiutando la ristrettezza della monogamia; ognuno era libero di avere rapporti contingenti, che tuttavia non dovevano mai essere più importanti del loro “amore necessario”

    Spesso predicata e raramente praticata, la fedeltà assoluta è solitamente sperimentata da coloro che se la impongono come una mutilazione.

    La forza delle cose, Simone de Beauvoir 

    Lei ebbe una relazione con lo scrittore e giornalista statunitense Nelson Algren e, successivamente, con il regista Claude Lanzmann. Lui ne ebbe moltissime: con l’allieva Olga Kosakiewicz — che ispirò Simone per il suo primo romanzo L’invitata — e poi con la sorella di lei Wanda, con Arlette Elkaïm, la figlia adottiva di origini algerine, con Michelle Lèglise, ex moglie del collega e amico Boris Vian, e con svariate altre allieve, attrici e ammiratrici. La loro unione vacillò in più occasioni, soprattutto a causa della folle gelosia di Simone, ma il loro amore non si esaurì mai

    Il loro legame fu propizio anche con riferimento all’attività filosofica e letteraria di entrambi: Simone era il primo critico di Sartre, che le sottoponeva tutti i suoi scritti e teneva moltissimo alla sua opinione; egli, dal canto suo, si arrogava il diritto di stabilire se ciò che Simone scriveva fosse pronto oppure no per essere pubblicato. Questo continuo confronto reciproco era la più concreta dimostrazione della stima intellettuale e della totale fiducia che provavano l’uno per l’altra, come spiega Sartre in questa lettera del 1939: 

    Il Castoro mi ha fatto scrivere centinaia di pagine nella mia vita, mi ha fatto riscrivere intere commedie: lei è il solo critico che abbia contato per me.

    Se ci fosse stato bisogno di sentire sino a che punto siamo uniti… amore mio, voi non siete “una cosa della mia vita” — sia pure la più importante — perché la mia vita non è più mia, non la rimpiango nemmeno e voi siete sempre me. Voi siete molto di più, siete voi che mi permettete di immaginare qualsiasi avvenire in qualsiasi vita.

    Lettera di Jean-Paul Sartre a Simone de Beauvoir, Ottobre 1939.

    Oggi giacciono sepolti insieme nel cimitero di Montparnasse, in una tomba bianca con i loro due nomi scritti uno sotto l’altro. Uniti per l’eternità, le loro menti continuano a vivere attraverso le meravigliose opere che ci hanno donato.


    Axel Madsen, Una vita in comune. Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, traduzione di Renato Liguori, Dall’Oglio Editore, 416 p.

    2. ANNA FOLLI, MoranteMoravia

    Erano una coppia leggendaria. Li chiamavano MoranteMoravia, tutto attaccato, come se la loro fosse un’unica vita, come fossero parte di un binomio inscindibile.

    Eppure non potevano essere più diversi. 

    I due scrittori che ora vorrei presentarvi possono essere considerati — ma forse è un azzardo — un po’ come i Sartre-De Beauvoir di casa nostraLei, Elsa Morante: una donna geniale, raffinata e di grandissimo fascino che, reduce da un’infanzia infelice, costruì da sé il proprio successo restando sempre tenacemente libera e indipendente. Lui, Alberto Moravia: autore di indiscussa bravura, più volte candidato al Nobel, precursore dell’esistenzialismo col suo romanzo Gli indifferenti e portatore nella società civile dell’epoca di una voce nuova, gentile e potentissima. 

    Si conobbero a Roma nel 1936, durante una cena tra amici: il pittore Giuseppe Capogrossi, grande amico di Moravia, agevolò le presentazioni. Elsa, che già lo conosceva di fama, ne rimase profondamente rapita, ebbe “un’improvvisa illuminazione” e fu certa di aver trovato il grande amore della sua vita; Moravia restò altrettanto turbato da quella ragazza un po’ scontrosa e umorale, “così diversa da ogni altra donna che ha conosciuto, e finì per innamorarsene. Da quell’incontro, i due divennero inseparabili, vivendo come in simbiosi; si sposarono nel 1941 e restarono insieme per ventisei bellissimi anni, uniti da un legame fortissimo in cui la stima e il rispetto reciproci non vennero mai meno. 

    Anna Folli — giornalista professionista e autrice, oltre a questo libro, del più recente La casa dalle finestre sempre accese, dedicato alle vite di Giacomo e Renata Debenedetti, anch’esso edito da Neri Pozza — ci racconta i momenti più belli e toccanti della loro relazione: le estati passate a Capri in compagnia di Curzio Malaparte e Raffaele La Capria, luogo che fu di ispirazione per la stesura di Agostino; gli anni della guerra e delle difficoltà economiche, con la lotta al fascismo e la paura della deportazione; i salotti letterari di Roma e l’amicizia con Pier Paolo Pasolini, coronata dal celebre viaggio in India del 1961; senza tralasciare i numerosi tradimenti di Moravia e la sua lunga relazione con Dacia Maraini, successiva alla loro separazione, e l’amore di Elsa per Luchino Visconti e Bill Morrow

    Quando ho deciso di scrivere un libro su Alberto Moravia ed Elsa Morante ero consapevole di dover affrontare quella che è la coppia italiana di letterati più celebre del Novecento.

    Ero molto consapevole del rischio di affrontare un tema come questo e volevo in tutti i modi essere rispettosa della loro storia e della loro intimità.

    D’altra parte volevo raccontarli sia come scrittori che come un uomo e una donna che si sono incontrati e si sono amati per molti anni.

    Bonus track!

    Per chi volesse approfondire la storia di questo grande, imperituro amore, consiglio altre due letture imperdibili: Vita di Moravia, l’intervista-autobiografia curata da Alain Elkann e pubblicata nel 1990, a pochi mesi dalla morte dello scrittore, e Quando verrai sarò quasi felice. Lettere a Elsa Morante 1947-1983, una raccolta della loro corrispondenza privata intercorsa negli anni del matrimonio e oltre. Entrambi sono editi da Bompiani, la storica casa editrice con cui Moravia collaborò per quasi tutte le sue pubblicazioni.


    Anna Folli, MoranteMoravia. Storia di un amore, Neri Pozza Editore, 336 p.

    3. LEONARD WOOLF, La morte di Virginia

    Se qualcuno avesse potuto salvarmi, quello saresti stato tu. Ho perso tutto tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. 

    Non penso che due persone avrebbero potuto essere più felici di come lo siamo stati noi.

    V.

    Queste sono le parole con cui Virginia Woolf salutò suo marito Leonard nella lettera di addio che gli scrisse prima di suicidarsi. Un gesto estremo, indice di una profonda quanto inesorabile depressione, che in altre due occasioni non andò a segno ma che al terzo tentativo, il 28 marzo 1941, riuscì. 

    In questo intimo e malinconico documento, Leonard Woolf ripercorre gli ultimi mesi di vita di Virginia, dal settembre 1939 fino a quel tragico giorno. Sullo sfondo di un’Inghilterra divorata dai bombardamenti tedeschi della Seconda guerra mondiale, lo scrittore inglese, fondatore insieme alla moglie della casa editrice Hogarth Press, parla di lei con accorato rimpianto, ricostruendo con lucidità i segnali della sua malattia e gli sforzi da lui compiuti per farla stare meglio

    Le pagine di questo diario ci trasmettono tutto il tormento e la disperazione che hanno caratterizzato quegli ultimi mesi passati insieme: quello che più si evince è un triste senso di ineluttabilità nei confronti di un destino per molti versi segnato, di una tragedia preannunciata. Non dev’essere stato facile per l’autore rivangare quei ricordi e rendere pubblici dei momenti di così intimo dolore, soprattutto perché, come egli stesso ammette, anche il più lieve conforto purtroppo ne è escluso. 

    Mi stupisco sempre di come il dolore più acuto svanisca all’istante, quando ci si deve concentrare su qualcos’altro, anche quando è una cosa del tutto insignificante. Si perde ogni consapevolezza del tormento di un mal di denti o di un amore contrastato, mentre si cerca di attraversare una strada affollata di Londra.

    La reminiscenza dell’infelicità, invece, non consente distrazione e sollievo di sorta.

    In età avanzata, incline alla confessione, Leonard Woolf compilò diversi scritti autobiografici – GrowingBeginning againDownhill all the wayThe journey not the arrival matters – dedicati a periodi diversi della sua vita, dalla giovinezza fino agli ultimi anni della vecchiaia. In Italia la casa editrice Lindau, oltre al memoriale che qui vi propongo, ne ha pubblicato anche un altro dal titolo La mia vita con VirginiaPer chi ama la celebre scrittrice, non c’è lettura più bella e più autentica del racconto di un uomo che l’ha amata profondamente, fino all’ultimo istante


    Leonard Woolf, La morte di Virginia, traduzione di Paola Quarantelli, Lindau, 92 p.

    4. GIUSEPPE MARCENARO, Una sconosciuta moralità

    Or, le plus beau d’entre tous ces mauvais anges

    Avait seize ans sous sa couronne de fleurs

    Les bras croisés sur les colliers et les franges,

    Il rêve, l’œil plein de flammes et de pleurs.

    Crimen amoris, Paul Verlaine.

    Il 10 luglio 1873, in una camera al primo piano dell’Hôtel à la Ville de Courtrai nel centro di Bruxelles, un uomo, fortemente alterato dall’alcol e dalla collera, sparò due colpi di pistola contro un ragazzo di diciannove anni, ferendolo al polso. Quell’uomo era Paul Verlaine, maestro e precursore della poesia simbolista, uno dei più apprezzati hommes de lettres parigini del diciannovesimo secolo. La vittima invece era Arthur Rimbaud, giovanissimo poeta in erba osannato come il nuovo enfant prodige della poesia francese. 

    Per conoscere i motivi che spinsero Verlaine a compiere un tale gesto — che, oltre al pubblico biasimo, gli costò due anni di carcere e il divorzio dalla moglie Mathilde — non c’è lettura più illuminante del libro che qui vi propongo. Una sconosciuta moralità di Giuseppe Marcenaro, edito da Bompiani, ricostruisce con estrema precisione di date e fatti la rocambolesca “amicizia” tra i due poeti maledetti, dal loro primo incontro a Parigi fino alla definitiva separazione. Un sodalizio speciale, non esente da turbamenti e liti appassionate: un legame fortissimo che trovò sfogo nei meravigliosi versi delle loro opere. 

    I due si conobbero nella capitale francese nel settembre 1871, due anni prima del tragico evento: Rimbaud aveva appena lasciato la sua città natale, Charleville, nel cuore delle Ardenne, per incontrare il venerato Maestro e sottoporgli alcuni suoi recenti componimenti, tra cui il celebre Bateau ivre. Verlaine lo descrisse così:

    Un ragazzo tra i sedici e i diciassette anni, già fornito di tutto il bagaglio poetico che il vero pubblico dovrebbe conoscere…

    L’uomo era alto, ben piantato, quasi atletico,  con un viso perfettamente ovale di angelo in esilio, capelli castano chiaro in disordine, e occhi inquietanti, di un azzurro pallido

    Non stupisce che Verlaine sia rimasto ammaliato dalla “bellezza contadina scaltra del giovane Rimbaud, e ancor di più dall’inaudita violenza dei suoi versi, meravigliosi e di una sincerità spiazzante. Egli lo introdusse agli amici poeti parnassiani del circolo dei Vilains-Bonshommes e il plauso fu unanime. Da quel giorno, i due iniziarono a frequentarsi sempre più assiduamente, trascorrevano insieme i giorni e le notti, vittime di un vero e proprio coup de foudre che ben presto si tramutò in una scandalosa relazione intima

    Col passare dei mesi, “fulminanti e squallidi pettegolezzi” iniziarono a circolare tra i loro conoscenti; le chiacchiere sul loro conto giunsero fino alla famiglia di Verlaine, al punto da costringerlo a una decisione drastica: egli abbandonò la moglie e il figlioletto Georges e scappò all’estero in compagnia del giovane amante, per vivere finalmente alla luce del sole il loro “amore tigresco”. La coppia soggiornò in diverse località, fermandosi a Londra e poi a Bruxelles, ma le continue discussioni e le accuse riguardanti la loro moralité minarono fortemente il loro rapporto, fino a sfociare nel famigerato attentato.

    Il libro prosegue con il racconto del processo a Verlaine, che si svolse nella capitale belga nell’estate del 1873 e terminò con la sua condanna. La seconda parte è appunto dedicata al “Dossier di Bruxelles”, che include le copie degli atti processuali, dei verbali di polizia e delle numerose lettere che furono sequestrate come elementi probatori: testimonianze di un amore antico, travagliato, osteggiato da tutti; fonte d’ispirazione poetica e proprio per questo immortale. Consigliato a chi è amante delle storie impossibili e dei legal thriller. 


    Giuseppe Marcenaro, Una sconosciuta moralità. Quando Verlaine sparò a Rimbaud, Bompiani, 327 p.

    5. PIETRO CITATI, La morte della farfalla

    Zelda e Fitzgerald erano troppo vicini: vicini come furono raramente esseri umani; e l’eccesso della vicinanza tra gli dèi e gli uomini, come tra gli uomini e le donne, brucia i cuori e le vite.

    […] erano la stessa persona, con due cuori e due teste; e questi cuori e queste teste si volgevano appassionatamente l’una verso l’altro, l’una contro l’altro, fino ad ardere in un unico rogo.

    L’ultima coppia di cui voglio parlarvi è quasi leggendaria. I loro nomi, al solo pronunciarli, rievocano tutte le immagini e i suoni della meravigliosa Età del Jazz, con le feste che finivano all’alba e i banchetti luculliani, le corse in auto e le vacanze negli Hamptons, i fiumi di gin e champagne che scorrevano a profusione, nonostante il proibizionismo e la crisi del ’29. Mi riferisco, è ovvio, a Zelda Sayre e Francis Scott Fitzgerald. 

    In questo meraviglioso piccolo libro, Pietro Citati — scrittore e critico letterario italiano, maestro del genere della biografia per aver scritto di Manzoni, Kafka, Leopardi, Tolstoj, Goethe e molti altri — ripercorre tutte le tappe della storia d’amore tra Zelda e Fitzgerald, da quando, giovanissimi, si conobbero a una festa da ballo a Montgomery, Alabama fino ai periodi più bui della loro storia e alla definitiva separazione. L’autore non tralascia alcun dettaglio, regalandoci un quadro delle loro vite emozionante e dal sapore tremendamente amaro. 

    Gli anni passati insieme furono un’altalena di emozioni, con momenti di assoluta felicità e cadute immensamente dolorose: i successi editoriali di lui e la nuova ricchezza ottenuta non riuscirono a trionfare sui fantasmi delle loro esistenze, gettandoli in un vortice di autodistruzione che si rivelerà inarrestabile. La brama di successo di F.S., il suo perenne senso di inadeguatezza e di inferiorità, la dipendenza dall’alcol, la folle gelosia che provava per la moglie e l’incapacità di assisterla nella sua schizofrenia; l’amore sconfinato che entrambi provavano per la figlia Scottie e la preoccupazione di non riuscire a garantirle un degno futuro. Tutto ciò contribuì a rovinare il loro rapporto, facendolo naufragare; ma il loro amore rimase inalterato, come si evince da queste poche righe che F.S. scrisse nel settembre 1935: 

    Come sempre anche oggi mi sento più vicino a lei che a qualsiasi essere umano…

    Non mi dispiacerebbe se, fra qualche anno, Zelda ed io potessimo rannicchiarci insieme sotto una pietra in qualche vecchio cimitero di queste parti.

    E questo fu proprio il loro destino: lui morì per un attacco di cuore nel dicembre 1940, tra le braccia di Sheilah Graham, la donna che gli stette accanto negli ultimi anni. Lei invece morì otto anni più tardi, vittima, insieme ad altre otto pazienti, di un incendio che si sprigionò nell’ospedale psichiatrico dove era ricoverata. Oggi sono sepolti insieme, uno accanto all’altra, nella St. Mary’s Catholic Church di Rockville, Maryland: l’ultimo desiderio, alla fine, è stato esaudito


    Pietro Citati, La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald, Adelphi, 88 p.

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