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TOP 5 PICCOLI LIBRI per chi non ha mai tempo per leggere

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Cinque racconti brevissimi, storie che si leggono in una manciata di minuti: per un viaggio in treno o in aereo, per chi aspetta l’autobus o fa la coda in posta; perfetti anche come intermezzo tra un mattone russo e la trilogia di qualche scrittore scandinavo.
Una boccata d’aria fresca contro lo stress e la frenesia dei tempi moderni.

1. GUSTAVE FLAUBERT, Bibliomania

Scritto da Flaubert in età adolescenziale, questo breve racconto parla di Giacomo, un libraio di Barcellona, e del suo amore ossessivo per i libri e per la ricerca di manoscritti rari e originali, un vizio che lo assorbirà interamente e che da ultimo gli sarà fatale.

Già dalle prime pagine un commento severo ci fa capire la vera essenza di questa passione, in quanto Flaubert afferma che il suo eroe “Sapeva a stento leggere”.

La bibliomania non è amore per la cultura e per il sapere, ma una vera e propria perversione che consuma l’esistenza, è il desiderio di possedere i libri, di osservarli e averli tra le mani, sognando un giorno di collezionarne a migliaia e godere di una biblioteca grande come quella di un re.

“No! non era il sapere che amava, era la sua forma e la sua espressione; amava un libro perché era un libro, amava il suo odore, la sua forma, il suo titolo. Ciò che amava in un manoscritto era la sua vecchia data illeggibile, le lettere gotiche bizzarre e strane, le spesse dorature che appesantivano i suoi disegni, erano le sue pagine coperte di polvere, polvere di cui aspirava deliziato il profumo soave e delicato […]”.

Consigliato a chi, come me, tiene più ai libri che al resto e venderebbe l’anima al diavolo per una prima edizione rilegata e autografata.


Gustave Flaubert, Bibliomania, traduzione di Vesna D’Arena, Mursia, 31 p.

2. DENIS DIDEROT, Questo non è un racconto

Due storie di amore non corrisposto, tradimenti e intrighi coniugali, due vicende simmetriche in cui il padre dell’Encyclopédie ci rimanda un’immagine nitida dei rapporti sentimentali nel diciottesimo secolo.

In Questo non è un racconto si parla di vittime dell’amore, nella fattispecie di un uomo che sacrifica la propria vita per soddisfare “una cortigiana avara” e di una ragazza, la signorina de La Chaux, che perde la salute bramando un uomo che la respinge. Ne La signora della Carlière, invece, una giovane vedova sposa in seconde nozze il cavalier Desroches, rinomato libertino, scoprendo poi le prove cartacee di un tradimento che la condurrà alla pazzia.

La narrazione si svolge nella forma di un dialogo tra due gentiluomini, quasi uno scambio di pettegolezzi che trasforma i drammi incompresi in superficiali chiacchiere da salotto. La scelta è ragionata, perché permette al lettore di avere un’esperienza diretta del modo in cui la società dell’epoca giudicava i rapporti sentimentali, seguendo dei rigidi codici di comportamento.

Nemmeno il titolo è casuale: i personaggi che animano le pagine, lontani dall’essere pura immaginazione, sono realmente esistiti e appartenevano al milieu parigino frequentato da Diderot; il racconto letterario trova quindi uno spunto diretto nella cronaca d’epoca, in una mescolanza storico-letteraria quanto mai interessante. L’estratto sulla quarta di copertina mi ha convinto a comprarlo:

“Io cento volte ho ripetuto agli amanti: non scrivete, le lettere saranno la vostra rovina”.

Se non le lettere, di sicuro un messaggio WhatsApp.


Denis Diderot, Questo non è un racconto, traduzione di Luciano Costa, Edizioni Studio Tesi, 74 p.

3. FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Il decennio perduto

I brani riuniti in questa raccolta fanno parte dell’ultima produzione del noto scrittore. Lontano dai fasti e dagli eccessi descritti nel Grande Gatsby o in Tenera è la notte, qui Fitzgerald si fa più cupo, assumendo un tono disincantato e privo della spensieratezza dei suoi primi romanzi.

Queste storie malinconiche parlano delle difficoltà incontrate sul finire della sua esistenza, appunto nel decennio tra il 1930 e il 1940: la dipendenza dall’alcol, i creditori, la malattia della moglie Zelda, il ricordo dell’amicizia con Hemingway prendono forma letteraria, in un’amara caricatura di se stesso e dei suoi fallimenti.

In Pazza domenica, racconto che apre l’antologia, un giovane sceneggiatore di Hollywood, nel corso di una festa a casa di un noto regista, si rende ridicolo esibendosi in una scenetta che non desta l’ilarità dei presenti. Si tratta di un episodio realmente accaduto all’autore che, mentre si trovava a un party nella villa del suo produttore, a causa di un bicchiere di troppo si mise a cantare una canzone di cattivo gusto, generando i fischi degli ospiti.

Finanziando Finnegan, invece, ci introduce nel mondo dell’editoria, presentandoci uno scrittore di conclamato successo che, scombinato e perennemente al verde, riceve finanziamenti continui dal proprio agente letterario nella speranza di ottenere prima o poi un nuovo redditizio manoscritto. Il collegamento (non solo linguistico) tra Finnegan e Fitzgerald è evidente, così come d’ispirazione devono essere state le varie delusioni editoriali, il vendere racconti alle riviste per risanare i propri debiti e l’essere considerato, ancora a quarant’anni, ” l’eterna promessa della letteratura americana”.

Ne Il decennio perduto, scritto nell’estate del 1939 pochi mesi prima della morte, un ex progettista, “ubriaco per dieci anni”, ritrova la sobrietà e con essa la giusta percezione della realtà che lo circonda: i luoghi che visita, gli occhi del cameriere che lo serve al ristorante, il collo delle persone e il modo in cui “le teste sono unite ai corpi” gli appaiono nuovamente per quello che sono, lontani dall’ottundimento in cui l’alcol lo aveva condotto.

In Un caso di alcolismo, infine, la voce è quella di un’infermiera professionale chiamata ad assistere un fumettista alcolizzato; il commento finale è una confessione a cuore aperto sulla propria dipendenza:

Non è qualcosa che puoi sconfiggere, non importa quanto ti sforzi. […] è così scoraggiante… è tutto inutile.

Una piacevole scoperta per chi di Fitzgerald ha letto (quasi) tutto, per scoprire e comprendere le debolezze più intime di uno dei geni della letteratura del Novecento.


Francis Scott Fitzgerald, Il decennio perduto, Mattioli 1885, 92 p.

4. ALAN BENNETT, Nudi e crudi

Una ricca coppia londinese della middle class, lui burbero avvocato della city patito di Mozart, lei casalinga spenta dedita ai talk show televisivi del pomeriggio, subisce un furto nel proprio appartamento, una sera in cui si trova all’opera a Covent Garden. Non si tratta però di un semplice svaligiamento: i ladri hanno portato via ogni singolo oggetto presente nella casa, fatta eccezione per i sanitari e lo scaldabagno: oltre ai mobili e alle varie suppellettili, sono spariti la moquette, la carta igienica, le tende e i relativi bastoni, lo sformato cotto a metà nel forno, insomma, “tutto fino all’ultimo spillo”. Quelli dell’assicurazione pensano ad uno scherzo, la polizia ha crimini più urgenti a cui badare; l’episodio resta avvolto nel mistero e Mr. e Mrs. Ransome si trovano costretti a ripartire da zero, avventurandosi in una vita tutta nuova che saprà sconvolgere la trentennale routine coniugale.

Si apre così il romanzo di Alan Bennett, amato scrittore e sceneggiatore britannico con un passato da ricercatore universitario a Oxford, il quale negli anni ha saputo conquistare il pubblico inglese con commedie brillanti e monologhi dissacranti e a tratti malinconici (una su tutte, la serie televisiva Talking Heads, che riscosse un grande successo di pubblico e nel cui cast figurava anche Maggie Smith).

Brillante, spassoso, coinvolgente, Nudi e crudi (“The clothes they stood up in“) è un esempio perfetto del classico umorismo British intriso di un cinismo e un’ironia pungenti, sempre pronto a svelare i difetti e le tante assurdità di personaggi all’apparenza banali.

I coniugi Ransome, chiusi da sempre in una monotonia domestica e del tutto disabituati all’intimità, dalla sera del furto sembrano ridestarsi da un torpore durato trent’anni, mettono in discussione il proprio modo di vivere e si trovano ad interagire con personaggi del tutto estranei alla loro sfera abituale.

Il trauma li aiuta dunque a rompere il loro contegno borghese e a riscoprire un modo di essere più libero e meno severo, privo dei sotterfugi e delle abitudini a cui tutti, più o meno involontariamente, ci troviamo legati.

È un romanzo leggero, comico fin dalla prima pagina e ricco di situazioni paradossali, anche se il paradosso più grande è che, in fin dei conti, le storie narrate da Bennett così ridere non fanno.


Alan Bennett, Nudi e crudi, traduzione di Giulia Arborio Mella e Claudia Valeria Letizia, Adelphi, 95 p.

5. FERNANDO PESSOA, Il marinaio

L’ultimo libro che voglio consigliarvi non è un romanzo né una storia breve, bensì un dramma teatrale, scritto da uno dei più grandi autori di lingua portoghese

Il palcoscenico: nella stanza circolare di un antico castello, tre fanciulle vegliano il cadavere di una ragazza vestita di bianco. Quattro candele illuminano la scena, un luogo senza orologi, quindi fuori dal tempo; da una finestra alta e stretta “si vede soltanto, tra due lontani monti, un lembo di mare. […] È notte e c’è un vago chiarore lunare”.

In quest’atmosfera onirica e surreale, le tre vegliatrici trascorrono la notte raccontandosi i propri sogni; uno di essi è la storia di un marinaio, naufrago su un’isola deserta e senza speranza di essere salvato, il quale si immagina un passato e una patria che non ha mai avuto, inventandone ogni dettaglio nei minimi particolari. La patria così creata era talmente reale che, quando tentò di ricordare quella vera, non ci riuscì, scoprendo di averla dimenticata. Egli viveva in questo modo finché una nave, un giorno, approdò a quell’isola. Ma il marinaio non c’era più.

In molti hanno tentato di decifrare il significato profondo di questo breve componimento, un Drama estático em um quadro” come lo definì lo stesso autore nel titolo originale; i risultati sono vari e discordanti.

Vi è, senza dubbio, una riflessione sulla condizione della realtà umana, ispirata dalla notte, dalla morte e dall’assenza di riferimenti temporali. Un dialogo surreale, evocativo, attraverso il quale le tre fanciulle arrivano a dubitare della loro stessa esistenza, in cui l’unica certezza è l’imminente arrivo dell’alba, quando il sorgere del sole porrà fine al sogno che le terrorizza e le riempie d’angoscia.

“Ditemi questo, ditemi una cosa ancora…Perché non potrebbe essere l’unica cosa reale in tutto questo, il marinaio, e noi e tutto il resto solo un suo sogno? …”

“Parlatemi, gridate, perché mi svegli, perché sappia che sono qui davanti a voi e che esistono cose che non sono solo sogni…”

Un’opera misteriosa, ricca di ombre, un quiz enigmistico impossibile da risolvere. Un piccolo capolavoro che solo un artista visionario come Pessoa poteva concepire e riprodurre sulla carta.


Fernando Pessoa, Il marinaio, traduzione di Antonio Tabucchi, Einaudi, 62 p.

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