Vai al contenuto

ALBERTO ARBASINO, Le piccole vacanze

    Nell’Autodizionario degli scrittori italiani (a cura di Felice Piemontese, Leonardo, 1989) egli diede di sé questa definizione: Self-made man di origini decadenti (nato a Voghera nel 1930, rinato a Roma nel 1957), con la tentazione di vivere come se. Cioè, come se abitassimo una società civilissima, illuminata e cosmopolita, di spiriti forti […] e di lettori con interessi abbastanza vivi e profondi per il buongoverno senza secondi fini…”.

    Intellettuale poliedrico, scrittore anticonformista e sui generis, Alberto Arbasino è stato una delle voci più visionarie e raffinate del panorama culturale italiano dell’ultimo secolo. Recentemente scomparso all’età di novant’anni, egli fu un mirabile romanziere che operò per lungo tempo anche come giornalista, collaborando con alcuni dei più importanti quotidiani nazionali, ed ebbe una breve carriera politica come parlamentare negli anni Ottanta.

    Fece parte dello storico movimento letterario di neoavanguardia Gruppo 63 e fu discepolo di Carlo Emilio Gadda: dedicò all’opera del grande maestro diversi saggi critici e ne fece un meraviglioso ritratto nel libro L’ingegnere in blu. Oltre ai celebri romanzi, tra cui “Fratelli d’Italia”, “L’anonimo lombardo” e “La bella di Lodi”, Arbasino scrisse numerosi saggi, libri di viaggio, poesie: omosessuale dichiarato, fu uno dei primi letterati del dopoguerra a raccontare l’amore tra uomini, parlandone con naturalezza e normalità, in netto contrasto con l’ipocrita e cattolicissima morale sessuale dell’epoca.

    Arbasino fece il suo ingresso sulla scena letteraria italiana intorno alla metà degli anni Cinquanta, come un fuoco d’artificio, riuscendo a portare un guizzo di novità ed estro rivoluzionario che non passò di certo inosservato. Iniziò pubblicando alcune poesie e brevi racconti su riviste letterarie di grande tiratura, finché nel 1957, sotto la supervisione di Italo Calvino, pubblicò per Einaudi il suo primo libro, Le piccole vacanze, una raccolta di sette brevi racconti scritti fra l’estate del ‘54 e l’estate del ’55: una fotografia vivace e spregiudicata dell’Italia piccoloborghese del secondo dopoguerra.

    Distaccandosi dai toni malinconici e autocommiserativi tipici della corrente neorealista ‒ nei cui romanzi si parlava solo di “partigiani, SS e Bella ciao” ‒ Arbasino racconta un’Italia in pieno clima di rinascita, in cui le persone, dopo gli orrori e le miserie patite durante la guerra, si stanno lentamente riabituando a un benessere per lungo tempo negato:

    Quando i bombardamenti sono finiti davanti alle prime foglie finiva anche l’inverno e noi non avevamo più nessuna voglia di tornare in città anche se le scuole erano finite.

    Nell’incipit di Distesa estate, il racconto che apre la raccolta e forse quello meglio riuscito, l’autore sembra chiarire fin da subito la volontà di voltare pagina dopo i patetici deliri vittimistici del dopoguerra e parlare di altro, evitando “l’eccesso di lamenti per i caduti”. Il titolo richiama una poesia di Vincenzo Cardarelli dedicata proprio all’estate e al ritmo vitale tipico di quella stagione:Distesa estate, / stagione dei densi climi / dei grandi mattini / dell’albe senza rumore / ci si risveglia come in un acquario…

    Alberto Arbasino in una foto giovanile ©Marisa Rastellini/Mondadori Portfolio

    Le “vacanze” dell’autore sono dunque ambientate in deliziosi luoghi di villeggiatura, ville aristocratiche sul mare, con parchi, piscine e campi da tennis; spiagge, pinete, ma anche modesti appartamentini di provincia, polverose biblioteche scolastiche e stazioni affollate. Vi si vivono incredibili corse in automobile, gite in campagna, feste danzanti che si protraggono fino all’alba, sbronze di Negroni e abbuffate di pasta dolce fritta nell’olio, vino, scampi e maionese. Le storie sono animate da giovani donne sofisticate ed eleganti e ragazzini inesperti e pieni di una disperata vitalità, alle prese con l’incertezza del loro futuro, le prime avventure sentimentali, i primi sogni infranti.

    Lo stile è già quello inconfondibile dell’Arbasino più maturo; una scrittura instancabile, in cui l’autore usa un linguaggio nuovo, aperto agli inglesismi e vicino al sentimento dei giovani; il ritmo della narrazione è velocissimo e povero di punteggiatura, un fiume in piena che rischia di travolgere anche il lettore più allenato. La conversazione gioca un ruolo fondamentale nello svolgersi delle vicende e i dialoghi appaiono brillanti e ben calibrati ‒ per Arbasino, “la civiltà della conversazione” è la fonte primaria del letterato: senza dialogo non c’è nulla.

    Lo sguardo di Arbasino è implacabile, riesce a catturare tutti i vizi e gli stereotipi della borghesia di provincia usando un sarcasmo sottile e mai politicamente corretto, come in “Agosto, Forte dei Marmi”, quando descrive le ragazze di paese e la loro ossessione di trovare un marito benestante. Il suo è un approccio disinvolto e scanzonato anche quando affronta i temi più scandalosi, quale la conquista di un giovane ragazzino inesperto da parte di un ostinato e ammaliante Don Giovanni, descritta in “Giorgio contro Luciano”:

    …non ti ho obbligato io, l’hai fatto perché l’hai voluto, e anche per il resto è inutile far qui adesso l’indignato e lo scandalizzato, non mi respingevi certo stanotte, anzi mi sembrava che ci provassi un certo gusto, e poi non stare a drammatizzare tanto, insomma, ti farà male per qualche giorno quando ti siedi…ma poi passa…

    Le piccole vacanze è stato ripubblicato nel 2007 da Adelphi in occasione del cinquantesimo anniversario, in una nuova edizione rivista dallo stesso Arbasino, che vi aggiunse anche una nostalgica e divagante postfazione. Un libro sfacciato e funambolico, uno spassoso mosaico di frammenti d’estate di un’altra epoca.


    Alberto Arbasino, Le piccole vacanze, Adelphi, 245 p.

    Rispondi

    %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: