
«Non sono stata una virtuosa della scrittura. Non ho resuscitato il baluginare delle sensazioni e catturato in parole il mondo esterno come Virginia Woolf, Proust, Joyce. Ma il mio scopo non era questo. Volevo farmi esistere per gli altri comunicandogli nel modo più diretto il sapore della mia vita: vi sono abbastanza riuscita. Ho dei solidi nemici, ma mi sono anche fatta tra i miei lettori molti amici. Non desideravo altro».
Pensando alle donne che più hanno segnato il panorama culturale europeo del Novecento, esaltando la libertà femminile e vestendo di una nuova morale il costume e la coscienza comune, non si può non citare lei. Scrittrice, filosofa, strenua sostenitrice del movimento femminista e compagna di un altro illustre pensatore, Jean-Paul Sartre, che affettuosamente la chiamava castor e al quale restò accanto per tutta la vita, Simone de Beauvoir rappresenta ancora oggi il più fulgido esempio di scrittrice impegnata e profondamente libera.
Da sempre paladina dei diritti delle donne, la Beauvoir non accettò mai la definizione di femminista, dichiarandosi sempre, più propriamente, un’esistenzialista: credeva fermamente nell’uguaglianza dei sessi e lottava per l’emancipazione e la rivalutazione delle donne in tutti gli ambiti, col chiaro intento di ridefinire il ruolo della donna nella società, superando gli stereotipi di genere, fonte di oppressione e prevaricazione da secoli. Il suo saggio Il secondo sesso, pubblicato nel 1949, fece scandalo proprio per la sua modernità e per la forza delle verità che vi erano espresse: “On ne naît pas femme: on le devient”. Il Vaticano lo inserì nell’Indice dei libri proibiti, come già accaduto l’anno precedente all’opera omnia dello stesso Sartre; questo non impedì al libro di diffondersi al di fuori della Francia e ottenere numerosi riconoscimenti a livello internazionale.
La Beauvoir fece il suo esordio nel mondo letterario con il suo primo romanzo, L’invitata, nel 1943: un libro in cui affrontò un tema controverso, quello del ménage à trois, parlando dei difficili equilibri vissuti da una coppia che sperimenta l’inserimento di un’altra persona nella loro relazione; un’esperienza da lei stessa vissuta con Sartre. La Beauvoir raggiunse poi la definitiva consacrazione con le sue opere successive, tra cui Il sangue degli altri, I mandarini ‒ che le valse l’assegnazione nel 1954 dell’ambito Premio Goncourt ‒ e i quattro volumi che compongono la sua lunga e dettagliata autobiografia: Memorie di una ragazza perbene, L’età forte, La forza delle cose e A conti fatti.
Il libro che voglio presentarvi è, tra quelli scritti dalla Beauvoir, forse uno dei meno conosciuti, sicuramente uno di quelli meno citati nelle tante dissertazioni dedicate alla sua produzione. Lo spirituale un tempo fu, infatti, il suo primo esperimento letterario, scritto all’epoca in cui l’autrice era insegnante di filosofia in una scuola femminile di Rouen e, più tardi, al Lycée Molière di Parigi; la Beauvoir prendeva molto sul serio il suo ruolo di educatrice di giovani fanciulle e cominciò a scrivere il libro soltanto perché Sartre la incitava di continuo, pretendendo che anche lei trovasse il modo di esprimere il suo indubbio talento e diventasse, come lui, scrittrice.
L’opera ebbe una storia editoriale decisamente singolare: nella primavera del 1938, a poche settimane dall’uscita del primo romanzo di Sartre, La nausée, che riscosse un enorme successo di critica e di pubblico, anche la Beauvoir prese coraggio e presentò il suo romanzo a due diversi editori, Gallimard e Grasset. Il titolo scelto inizialmente, Primauté du spirituel, riprendeva in tono provocatorio quello di un’altra famosa opera del 1926 del filosofo cattolico Jacques Maritain, nel chiaro intento di rivolta contro lo spiritualismo imperante nella società francese dell’epoca. Entrambi gli editori, disgraziatamente, lo respinsero. La Beauvoir accolse il rifiuto in maniera abbastanza serena, come ammette lei stessa nella prefazione che introduce al libro:
«Quel fallimento non mi scoraggiò, lo trovavo in gran parte giustificato e avevo tutta la vita davanti. Riposi Primauté du spirituel in fondo a un cassetto. […] Rileggendo però di recente il testo, e facendolo leggere ad alcuni amici, gli scoprimmo alcune qualità. Pensavo che avrebbe potuto interessare quei lettori che mi sono veramente affezionati: si tratta, in fin dei conti, sotto una forma un po’ goffa, di un romanzo di apprendistato nel quale sono abbozzati parecchi temi che in seguito ho ripreso».
Simone de Beauvoir riscoprì, dunque, in tarda età i pregi della sua opera giovanile, decidendo di farla pubblicare da Gallimard nel 1979 ‒ in Italia l’anno successivo, da Giulio Einaudi ‒ e cambiandone il titolo in Quand prime le spirituel, per evitare qualunque riferimento, ormai anacronistico, a Maritain: «Mi auguro che malgrado i suoi difetti, le sue goffaggini, i lettori lo trovino di loro gradimento. Almeno un po’».

Simone de Beauvoir al caffè Les Deux Magots, Parigi, 1944. ©Robert Doisneau/Getty Images
L’opera è composta da cinque diversi racconti le cui protagoniste sono tutte donne, legate tra loro da rapporti di parentela o amicizia; i personaggi, sia maschili che femminili, sono quindi ricorrenti e le loro vicende si intrecciano inevitabilmente tra di loro. Uno schema narrativo sicuramente moderno, sebbene nel complesso non possa parlarsi di un romanzo unico, poiché mancante di organicità: una considerazione che la stessa Beauvoir, in tono autocritico, riconobbe con serenità a posteriori.
Il primo di questi racconti è dedicato a Marcelle, una giovane intellettuale socialmente impegnata che si convince a sposare un uomo che in realtà non la ama, sacrificando per lui la sua missione e la sua serenità. Nel secondo racconto protagonista è Chantal, un’emancipata insegnante parigina che accetta di trasferirsi in un liceo femminile di provincia, portando scompiglio tra le allieve e incontrando le resistenze delle colleghe e della bigotta élite del paese. Il terzo parla di Lisa, una collegiale timida e inesperta che vive per un attimo l’illusione della maturità quando una donna a lei sconosciuta la scambia per l’amante del marito. Poi c’è la storia di Anne, una ragazza “docile e cristianamente rassegnata” ai doveri sociali, innamorata di un giovane, fratello di Marcelle, che la borghese e cattolicissima madre non accetta. Da ultima, la giovane Marguerite, sorella minore di Marcelle, che si ribella alle rigide convenzioni familiari buttandosi a capofitto nella vita notturna parigina, intessendo un ambiguo sodalizio con l’uomo che abbandonò la sorella.
L’autrice rivela, in questo libro, gli aspetti più controversi e ipocriti degli ambienti della borghesia parigina degli anni Trenta, concentrandosi proprio sul tema della condizione femminile: gli imperativi cattolici e moraleggianti imposti dalle famiglie alle giovani fanciulle; l’assillo dei “doveri sociali”, per cui le massime aspirazioni di una donna dovevano essere il matrimonio e la maternità; la conseguente secondarietà dell’educazione e realizzazione personale della donna; l’ignoranza del sesso; la rinuncia individuale, vista come una virtù cattolica imprescindibile.
Dei cinque profili raccontati dalla Beauvoir, il personaggio più sensibile ‒ e forse più riuscito, a mio parere ‒ è quello di Anne, che l’autrice ricreò a ricordo dell’amica Élisabeth Lacoin, soprannominata Zazà (e chiamata Élizabeth Mabille nelle Memorie), morta troppo presto, a soli ventidue anni, in drammatiche circostanze. Anch’ella fu vittima delle costrizioni di una famiglia rigida e bigotta, che le causarono uno stato insanabile di stanchezza e di angoscia; la Beauvoir incolpò la madre, Madame Lacoin, della sua morte e non riuscì mai a perdonarsi il fatto di non essere riuscita a salvarla.
Come Zazà, Anne è l’eroina sacrificata sull’altare della morale cattolica, l’esempio più chiaro di come le imposizioni sociali opprimessero e devastassero le vite delle giovani donne; lo si evince bene nel passaggio in cui Anne, in preda ad una crisi di follia, arriva persino a dubitare, essendo lei una donna, di poter ambire alla sua stessa realizzazione personale: “Non è male voler essere felici, non è un peccato, vero?”.
Una riflessione toccante sull’universo femminile, condotta con ardore e intelligenza. Un libro che, al pari degli altri suoi più famosi, merita di essere riscoperto e apprezzato.
Simone de Beauvoir, Lo spirituale un tempo, traduzione di Dianella Selvatico Estense, Einaudi, 194 p.