
«Sai, Ben», disse con fare pensoso, «a volte la memoria funziona in modo così strano… perché certe cose si ricordano e altre si dimenticano?» Lui annuì. Non c’era bisogno di dire niente.
Marga Minco (all’anagrafe Sara Menco) è una giornalista e scrittrice olandese di origini ebraiche. Classe 1920, iniziò la carriera editoriale lavorando per il quotidiano locale di Breda, la cittadina dei Paesi Bassi dove nacque e trascorse gli anni della giovinezza; nel secondo dopoguerra si stabilì ad Amsterdam insieme al marito, città dove tuttora vive. Il suo esordio letterario risale al 1957 con la pubblicazione di Erbe amare, un romanzo autobiografico in cui l’autrice rievoca gli orrori della guerra e le atrocità inflitte agli ebrei in Olanda durante l’occupazione nazista.
Il tema dell’Olocausto verrà ripreso anche nei suoi romanzi successivi, è il filo conduttore che lega tutte le sue storie e che la Minco affronta con un feroce senso di realtà e onestà. Una tragedia che lei stessa visse in prima persona e che colpì gravemente la sua famiglia: entrambi i genitori e i due fratelli David e Bettie furono vittime dei campi di concentramento; lei riuscì a sfuggire alla deportazione, rifugiandosi presso amici e adottando un falso nome, ma fu comunque costretta a nascondersi fino alla liberazione avvenuta nel maggio 1945.
La caduta, pubblicato ad Amsterdam all’inizio degli anni Ottanta, è un racconto breve incentrato sulla storia di Frieda Borgstein, un’anziana signora ebrea che vive in una moderna casa di riposo. La donna è anch’essa una sopravvissuta: negli anni della guerra, lei e la sua famiglia avevano in progetto di fuggire in Svizzera con l’aiuto di un conoscente, ma il piano fallì per colpa di una soffiata; lei sola riuscì a salvarsi per una pura coincidenza, perché inciampando nell’ingresso di casa, al termine delle scale, non fece in tempo a raggiungere l’auto in cui i suoi erano stati rinchiusi.
In un freddo mattino d’inverno, alla vigilia del suo ottantacinquesimo compleanno, Frieda si sveglia e si appresta ad organizzare tutti i preparativi per la festa che si svolgerà il giorno successivo; nonostante il gelo, ha intenzione di uscire per prenotare il parrucchiere e ordinare le paste in pasticceria. In parallelo si svolge però un’altra scena, che all’apparenza non ha nulla a che fare con la storia di Frieda: due operai del comune, dopo aver parcheggiato il loro furgone nella strada davanti alla casa di riposo, si accingono a scoperchiare un tombino per la manutenzione di un pozzetto del teleriscaldamento. Il freddo è pungente, il vento non dà tregua ai due uomini, che durante l’operazione di ripulitura entrano ed escono dal furgone nel tentativo di ripararsi. Le due storie convergeranno in un drammatico epilogo: come accaduto in passato, un’altra inspiegabile e fatale coincidenza segnerà per sempre il destino di Frieda.
Tutta la vicenda si svolge nell’arco di una giornata, anzi di poche ore, con continui flashback in cui la protagonista rievoca il ricordo del marito e dei figli ai tempi in cui ancora erano vivi e felici: le passeggiate lungo il fiume, i giochi, i progetti per il futuro che invece gli fu sottratto in un modo così violento e brutale. Frieda, a distanza di anni, ancora non riesce a comprendere il motivo per cui lei è stata risparmiata, perché la sorte ha deciso di salvarla, separandola per sempre dalla sua famiglia. «Per tutta la vita ha continuato a chiedersi perché non l’avessero portata via e perché non fossero tornati a prenderla». Quella caduta accidentale continuerà a perseguitarla, fino ad un’altra, tragica, caduta.
Due immagini l’avrebbero accompagnata fino alla fine dei suoi giorni, a volte sovrapponendosi come ora: era sulla soglia di una stanza piena e non riusciva a entrare ‒ era sulla soglia della sua casa vuota e non poteva uscire. Attraverso il lunotto posteriore dell’automobile che si allontanava aveva visto le loro teste. Si muovevano. Ma doveva averlo immaginato; la distanza era troppo grande perché potesse averli visti realmente.
La Minco ha la rara capacità di raccontare fatti drammatici mantenendo uno stile semplice e puro, onesto, segno di una consapevolezza per certi versi schiacciante. La costruzione della trama inizialmente lascia perplessi, non si capisce il collegamento tra le due storie, ma il senso di smarrimento svanisce presto con lo scorrere delle pagine. La morale del racconto è che non c’è una morale: la vita non ha senso, è inutile affannarsi a cercare un ordine preciso in ciò che ci accade, perché non c’è; come direbbe Sartre, «Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione». Un cupo esistenzialismo, dunque, domina tutto il romanzo, lasciando poche speranze e molta amarezza.
La bravura e la sobrietà con cui l’autrice racconta un periodo così oscuro della storia europea hanno di certo contribuito al successo delle sue opere, tanto che la maggior parte di esse sono state tradotte in diverse lingue e diffuse al di fuori dei confini olandesi; tra le più significative, Una casa vuota, Giorni alle spalle e Erbe amare, tutti pubblicati in Italia da La Giuntina, una casa editrice indipendente specializzata in storia e cultura ebraica.
Oggi Marga Minco compie cent’anni. Ricordare e diffondere la sua opera mi sembra il modo migliore per renderle omaggio in questo giorno così importante.
Marga Minco, La caduta, traduzione di Laura Pignatti, Guanda, 102 p.