
Romain Gary (pseudonimo di Romain Kacew, ebreo di origine lituana ma parigino d’adozione) è stato una delle voci più interessanti della letteratura francese del ventesimo secolo. Eroe di guerra durante la Resistenza, visse per molti anni in America, lavorando come console generale per la Francia. Proprio negli Stati Uniti conobbe la sua seconda moglie, Jean Seberg, con la quale ebbe un rapporto tormentato che culminò in un divorzio. Nel corso della sua carriera pubblicò diversi romanzi di grande successo utilizzando vari pseudonimi, il più famoso dei quali è Émile Ajar, con cui vinse per la seconda volta il premio Goncourt per il romanzo La vita davanti a sé.
Le storie raccontate da Gary appaiono permeate di cupi riferimenti autobiografici e sono intrise del caratteristico black humour ebraico, riconoscibile anche in altri autori successivi, quali Mordecai Richler e Woody Allen. Il resoconto più toccante è contenuto forse ne La promessa dell’alba, in cui l’autore rievoca la figura della madre e racconta i primi anni della sua vita fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Cane bianco è una delle opere meno conosciute di Gary. Non è un romanzo comune; ha la struttura di un romanzo, ma si tratta di un vero e proprio reportage narrativo, in cui Gary rivive alcuni eventi emblematici che hanno offuscato la storia americana degli anni Sessanta.
Protagonista è Batka, un pastore tedesco di circa sette anni ruvido e massiccio, che durante un violento temporale compare a Gary davanti alla porta della sua casa di Los Angeles, dove abita insieme alla moglie. Egli, dopo una rapida riflessione, decide di accoglierlo con sé; il suo aspetto minaccioso e forte nasconde in realtà un’indole affabile, dimostrando da subito di sapersi integrare con gli altri animali che popolano la casa. Il cane, però, rivela ben presto anche tutta la sua indomabile ferocia, quando tenta di aggredire dapprima un operaio nero venuto per la manutenzione della piscina e poi un fattorino del supermercato, anch’egli di colore.
È in quel momento che Gary fa una sconcertante scoperta. Batka è un white dog, ovvero uno dei cani che, a quell’epoca, venivano utilizzati dalla polizia per attaccare i neri durante le manifestazioni. L’addestramento dei white dogs era in realtà una pratica risalente al diciannovesimo secolo, quando, negli Stati sudisti in cui esisteva la schiavitù, questi cani da guardia servivano a braccare e, spesso, uccidere gli schiavi che fuggivano dalle piantagioni.
Una volta appresa la realtà dei fatti, Gary si mette in testa di voler salvare il cane da una fine per molti versi già scritta. Lo affida dunque a un addestratore, un ragazzo nero soprannominato Keys, che con grande difficoltà e una volontà ferrea proverà a ricondurre l’animale a una docilità inoffensiva.

Un dimostrante per i diritti civili diciassettenne è attaccato da un cane poliziotto a Birmingham, Alabama, il 3 maggio 1963. Questa immagine comparve il giorno successivo sulla prima pagina del New York Times. © Bill Hudson/Associated Press
La vicenda di Batka, raccontata con dissacrante ironia e umorismo, dà a Gary il pretesto per affrontare il tema spinoso della questione razziale negli Stati Uniti. L’autore descrive senza filtri gli episodi di intolleranza nei confronti dei neri, gli scontri con la polizia, le lotte e le rivendicazioni portate avanti dalle Black Panthers. L’America è in subbuglio, incendi e saccheggi spaventano la popolazione, che assiste impietrita all’esplosione della civiltà. Le istituzioni, dal canto loro, tentano di scardinare i vari gruppi di rivolta, i quali, spinti l’uno contro l’altro, finiscono per attaccarsi a vicenda, facendo il gioco dell’Fbi.
Il romanzo è inoltre un’occasione per denunciare le falsità della democrazia americana, mettendone in luce gli aspetti più controversi e l’ipocrisia che ancora oggi, in diverse maniere, la caratterizza. Un ruolo centrale lo riveste, in tal senso, la moglie Jean Seberg, attrice simbolo della Nouvelle Vague francese con una forte vocazione umanitaria, convinta attivista per i diritti dei neri in America.
Lei, affermata diva del cinema, come tanti altri membri della classe liberale americana è afflitta, secondo Gary, da quel “senso di colpa, padre di tutte le angosce” relativo alla sua condizione di privilegiata, che la induce a dedicare energie e guadagni alle cause dei più bisognosi nel tentativo di lavarsi la coscienza. Vietnam, Biafra, Black Power, ogni occasione è buona per attuare la propria personale catarsi.
Ed è proprio questa celata ipocrisia che più dà fastidio a Gary, ebreo espatriato che ha vissuto la segregazione e il razzismo sulla propria pelle; un atteggiamento, quello dei bianchi americani, che troverà il suo culmine nelle reazioni successive all’assassinio di Martin Luther King:
Le voci funeree dei telecronisti, il miele che cola a fiotti, radio, televisione, carta stampata: questa vecchia maniera di rifarsi una coscienza battendosi il petto e proclamando la propria colpa. In vita mia, non ho mai visto niente di simile a questa riscoperta postuma di un uomo di cui solo quarantotto ore prima tutto il mondo se ne fregava.
Un libro che fa riflettere, spietato e intransigente, come solo la penna di Gary sa essere. Consigliato a chi sente il bisogno di saperne di più, per vivere in coscienza il presente.
Romain Gary, Cane bianco, traduzione di Riccardo Fedriga, Neri Pozza Editore, 238 p.